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Sono giorni che corro tra uffici diversi, raccogliendo materiale da consegnare, documenti, fotocopie, moduli e quant’altro; mi informo su cosa dice la legge, su quello che devo avere e sapere, le imposte relative, come le pago, quando le pago, cosa mi serve ancora, perchè così non va bene, in che formato deve essere, che cosa mi sto dimenticando, il costo della prestazione del servizio, la dichiarazione sostitutiva, ma poi mi porta il certificato originale quando ce l’ha. Poi devo sentire per quella pratica della macchina, che non ho saputo più nulla, chiedere come funziona per il passaggio di luce e gas, il contratto che non me lo hanno spedito, il numero verde, il servizio clienti e il pacco che non è arrivato, ma non mi vogliono rimborsare perchè lo vedono all’ufficio postale che mi informa che è in restituzione al mittente.

E poi un flash. “Il nostro obiettivo è quello di rendere il cane un perfetto cittadino” o ancora “Il buon cane si adatta perfettamente alla nostra società”. Ma che… davero? (cit.)

Siamo proprio proprio sicuri che stiamo facendo la scelta giusta? Ok, posto che sono conscia che questo non significhi che potrò mandare il cane all’ufficio postale al posto mio e che non riuscirà con le sue zampette a premere 9 per parlare con l’operatore, sono giorni che ho in testa quanto sia folle il ritmo a cui stiamo vivendo, come nel voler definire tutto, prevedere tutto, sancire tutto ci stiamo di fatto ingabbiando in una rete sempre più fitta di norme, responsabilità, cavilli che ci obbligano a correre, stare in posti affollati, in code interminabili di persone giustamente nervose.

Ma veramente possiamo pensare che questo sia il giusto modo di vivere? E veramente vogliamo trascinare questi poveri cani ad accompagnarci nella follia di questa nostra società?

Ogni giorno di ritorno da tutta questa corsa pazza ho la fortuna di potermi rintanare in un luogo di Natura, dove mi aspettano le mie piante, il mio orto, gli animaletti vari che lo vivono (e proprio mentre scrivevo questo articolo è venuto a trovarci un enorme e maestosto corvo) e i miei cani. Loro hanno passato il tempo che sono stata fuori a rincorrere le lucertole che pretendevano di prendere il sole sul loro muraglione, ad avvisare i cani che passano fuori che non tutti sono ben graditi qui, a far volare via i passerotti che impertinenti pensavano di potersi liberamente posare sul loro prato, a perlustrare il giardino a vedere se è sempre lo stesso di ieri, o se ci sono odori e cose diversi, e a dormire tra dentro e fuori a seconda della loro personalissima opinione sulla temperatura e sulla comodità.

Ogni giorno tornata a casa da quella follia ho sentito il bisogno di sporcarmi le mani; ho piantato le piantine nell’orto, i fiori nella parte del giardino, con vecchi bancali abbiamo costruito un angolo con divanetto e tavolino per goderci lo spazio fuori ora che sta arrivando il caldo e le belle giornate.

Non voglio un cane che sia un cittadino, non voglio che l’obiettivo del mio lavoro sia renderlo tale, non voglio portarli con me in questa presuntuosa follia tutta umana. Voglio tornare a casa e potermi rintanare nel nostro nido fatto di naturalezza, voglio lasciarmi guidare nell’insegnarmi come vivere in connessione col mondo, voglio imparare l’arte del fare quel che è necessario per poi smettere di fare e abbandonarmi al non far niente, arte tanto da noi dimenticata, ma che tanti cani ancora conoscono bene. (E qui genio assoluto la Sioux, che all’avvicinarsi dei suoi 12 anni e dell’estate ha insegnato a Cocco e Halyn a far la guardia loro, così manco si alza più se non proprio necessario… che poi mi sono pure commossa perchè inizia a diventare una tradizione familiare visto che lei a sua volta lo aveva imparato da Brusco)

Quando vi propongono percorsi di adattamento alla nostra società e come rendere il vostro cane un cittadino pensate se veramente anche voi vi sentite di vivere bene in quella società, chiedetevi se il vostro cane davvero ha bisogno di quello o di altro… chiedetevi come sta e come starebbe in quel luogo.

Chiedetevi che cosa sia davvero lo standard, se non l’appiattimento di ogni possibilità di espressione individuale, se non il frustrante irrealistico obiettivo che ci poniamo lì davanti per mettere a tacere la possibilità di manifestazione dell’unicità del singolo in nome di un adattamento a una media, senza nessuna possibilità di eccellere e senza nessuna possibilità di dire “non fa per me” se non vivendo poi con l’ombra dell’inadeguatezza.

E poi chiedetevi se non preferite lasciare da parte quella presunzione umana di esseri superiori che hanno per te tutte le soluzioni, anche quando di te e della tua specie so poco o niente; chiedetevi se non preferite aprirvi all’ascolto e all’accettazione di quella perla che sono l’unicità e l’irripetibilità di quel singolo individuo che avete di fronte; chiedetevi se lasciare la libertà di essere non significhi dare anche a voi stessi questo diritto smettendo di rincorrere anche i nostri di folli standard; e chiedetevi ancora se non preferireste lasciarvi fluire, permettere di sanare tutto quello che suscita quello che ci siamo costruiti intorno per vivere, abbandonandovi a un momento di pura connessione, di pura essenza, di semplice essere, di piena fiducia rincorrendo una traccia che non potete vedere, ma loro sì, in mezzo al bosco o chiudendo gli occhi sdraiati in mezzo a un prato smettendo di analizzare e catalogare tutto quello che è intorno a noi o ancora semplicemente starvene nel caldo di una tan… ehm, casa, in una giornata piovosa, nella comodità di un divano rotto e strappato perchè costantemente raspato per renderlo più comodo, come sta succedendo proprio adesso in casa mia mentre vi scrivo.

Questo è quello che voglio fare con i cani, lasciarci liberi di essere, sostenerci, supportarci, connetterci, viverci in maniera naturale, lasciare che mi conducano alla memoria della più antica e animalesca e sacra parte di me. Lascio ad altri la rincorsa agli standard, i certificati, i bollini e gli esami; noi qui quello che cerchiamo è il nostro equilibrio per stare nella bellezza, per vivere nella ricchezza di avere proprio tutto quello di cui abbiamo bisogno, noi; nel dono infinito di quello che siamo, perfetti esattamente così come siamo nel momento in cui semplicemente ci allineiamo al nostro sentire più naturale, alla nostra vera essenza, alla presenza qui e ora, all’incontro e all’unione di noi, con semplicità, ascolto, accoglimento, nell’ordine naturale di tutte le cose del mondo, semplicemente essere.

In foto due amiche che di pura essenza, presenza e libertà di essere me ne hanno insegnata parecchia. Mi è tornata in mente questa foto mentre scrivevo questo articolo proprio perchè l’avevo pubblicata con questa citazione “Una grande amicizia ha due ingredienti principali: il primo è la scoperta di ciò che ci rende simili, il secondo il rispetto è il rispetto di ciò che ci fa diversi” (Stephen Littleword)